INFO
- Drammaturgia e regia - Marzia Ercolani
- Con Marzia Ercolani
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TEASER
Atti onirici
Her 2 positive – twice a woman
Twice a woman - Solo rebirth
Un solitario rito, intimo, femminile. Una donna nuda porge le spalle al mondo. Quel mondo che da un giorno ad un altro l’ha travolta di esami, esiti, burocrazia, quel mondo che ha invaso la sua identità, che l’ha inserita in una categoria, che l’ha protocollata offrendole cure aggressive, quel mondo nel quale si è sentita oggetto e dal quale ha bisogno di allontanarsi per proteggersi, per conoscersi, per “riconoscersi” e tornare ad essere soggetto. Nuda, spogliata della propria identità, il corpo ferito. Un taglio netto. Il suo respiro è il respiro del giorno dopo. Her 2 positivo. Carcinoma mammario aggressivo. Her 2 positivo. Due volte donna. Due vite, due corpi, il prima e il dopo. Con lei due materie. Una forse perduta. L’altra appena incontrata. Una atavica, naturale, l’altra chimica, contemporanea. Il latte amputato. Il silicone accolto. Ora é tempo di donare la nudità a sé stessa. Di farne una messa, una liturgia di latte e silicone, è il tempo degli incantesimi, il tempo di una strega, il tempo delle stelle, degli dei, dell’arcaico. La sua voce interiore torna agli albori invocando proprio lui, Karkìnos, parlando ad Era, cercando Eracle. Preghiere astrali, siderali confessioni. Un risveglio senza vagiti. Un tempo scandito da gocce. Il tempo delle lacrime. Il tempo del latte. Il tempo di una rinascita. Partorire sé stessa, riaprirsi nuovamente al mondo. Her2 positivo. Scegliere se il più è una croce, o se è una somma, un regalo, una dote.
Non sono che una lacrima
in questo immenso spazio
quanto è bello e sacro
questo indicibile arcano
così buio e scuro
per dar valore alle stelle
ed io che son qui
nella radice terrena
io che son qui
tra protocolli in maceria
e statistiche in scadenza
io che son qui
vorrei essere una goccia
bianca, leggera, nutriente
di quella via macroscopica
di quella galassia che ci nutre
così da sgorgare brillante, eterea
dal seno di Era, nella bocca di Eracle.
Drammaturgia
La luce si affievolisce, come fosse l’inizio di una nuova alba. Nulla accade. Silenzio. Un vecchio fusto di petrolio e una grande busta appoggiata ad esso. Ogni tanto piccoli scricchiolii, sottili sussurri della plastica.
Impercettibilmente, la grande busta nera comincia a prendere vita. Lentamente si anima fino a raggiungere sembianze umanoidi. Questo strano essere, un uomo forse, avvolto in una tunica di plastica nera una volta in piedi emette un lungo gemito di risveglio. A quel richiamo dal fusto una busta di plastica sembra come sollevarsi. Compare sotto una busta la testa di un essere vivente, una donna forse, due grandi occhi che emergono ora assonnati ora vigili. L’essere dalla tunica di plastica avanza camminando lentamente mentre lei si stiracchia ed esce dalla sua tana rimanendo appollaiata sopra il fusto. Mentre lui inizia a parlare.
LUI
Che bella ‘nvenzione a plastica. Risistente e economica. Vurria essere ‘na busta, ‘nu sacchetto, ‘nu cuntenitore. Pe’ esse liggiero, purtà e risiste. A plastica è irrisistibile, è bastante a sé stessa. O’ patre è n’uoglie niro niro, ma pe’ nascere adda passà mille avventure: stampaggio pe’ compressione, stampaggio ad iniezione, stampaggio pe’ trasferimento, formatura pe’ estrusione, calandratura, spalmatura, colata, soffiaggio, termoformatura, estrusione in bolla e pultrusione. È accusì c’ addiventa famosa comme a ‘n’eroina antica, superando tutte queste prove. Risiste, risiste, te risiste. Non comm’a o’ cuorpo nuostro che più campa e più va in malora e abbisogna di cure. Ecco pecchè pe’ nuje essa è ‘na dea. La veneriamo e lei viene in aiuto. O’ specchio è scustumato? E nuje o’ facimmo fesso cu’ cuorpi nuovi, lucenti e culurati. Cuorpi cambiati, trasformati in continuazione pe’ essere sempreverdi. Manco la muorte li usura, nun song’ biodegradabili. Sotto terra abbadunato poi, comme intatti, future cavie pe’i posteri scienziati, resistono a’ corrosione e inerzia chimica, nonché tengono idrorepellenza e inattaccabilità da muffe, funghi e batteri. Inceneriti, zigomi, seni, glutei scaricano diossine. Simm’ muort eterni. E vivi maje.
La donna mentre lui parla tira fuori dal fusto un grande uovo di carta, un mappamondo costruito con i giornali e lo culla cantando una ninna nanna mentre si avvicina al portale. Finisce di cantare, La sua figura appare incastonata nella porta divelta, una madonna nera, un grande uovo in mano. La figura esce dal quadro e ripone l’uovo sopra l’altare di macerie. Mentre lei racconta timida, lui sul fondo ripiega la sua veste di plastica, la sistema come fosse un giaciglio accanto al fusto.
LEI
– A me me piace ‘o vetro. Liggiero, trasparente, luminoso, culorato, oscuro, frangibbile, infrangibbile. Prima da esse accussì comme la mano nuostra lo carezza è nu fiume cociente, denso, acceso. Po’ piglia forma e se ‘ntosta. Accussì accade int’a nuie. Chella fiammicella ardente, focosa e biricchina, ca brilla al primmo battito nuostro libera e bruciante, chianu chiano, tra schiaffi e menzogne, se indurisce comme o vetro.
L’uomo intanto nel retro, seduto sul suo giaciglio, sta gonfiando lentamente due piccole buste di plastica trasparente, due buste da freezer. “Congela” il respiro.
LEI
– Dintro a ‘na bella teca trasparente chella scintilla primitiva si nascunne vergognosa, tiene paura do viento. Ma ‘o viento è il respiro nuostro. Accussì, sula, comme in clausura, sta arret’ a na finestra, a volte limpida e pulita cà issa poì esse vista e po’ verè, ma assai chiù spisso, oscurata p’azzitì e intussicà o valore. A siento! A siento! Dint’o pietto, la finestrella mia. Scricchiola. Lassa passà spifferi de munno. Quanno rido tengo paura ca se crepa comme se la gioia mpruvvisa fosse o terremoto. Quannu chiagno s’appanna tutta comme a velare discreta la ferita c’à fa male. Vurria aprila, spalancarla, pe fa trasì o viento. Se la fiamma è salda, o viento la ingrossa, la divampa. E se nu soffio la spegne? E se nu soffio la spegne, vuò dì che è ora.
(continua)